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IL BENESSERE DERIVATO DALLA NATURA, SUL NATIONAL GEOGRAPHIC

 “ Immaginate una terapia che non ha effetti collaterali,  facilmente disponibile, e che potrebbe migliorare il vostro funzionamento cognitivo,  a costo zero. Esiste e si chiama: interazione con la natura.” Un articolo corposo uscito di recente sul National Geographic, riporta una interessante carrellata  relativa all’utilizzo del paesaggio, dei parchi, dei giardini come strumento per la…
Per saperne di più

COSA SONO E PERCHE’ DOVREBBERO ESSERE REALIZZATI GLI HEALING GARDENS

  • Giardino Alzheimer_ centro diurno_ Chiavenna_ prog arch monica botta

Cosa sono gli Healing Gardens?

Sono spazi verdi progettati  secondo criteri ambientali con particolare attenzione

alla sicurezza, alla protezione, allo stimolo sensoriale,  in base alle caratteristiche del fruitore finale ed in  relazione con l’ambiente costruito.

A cosa servono?

Attraverso sensazioni tattili, olfattive, visive, uditive e del gusto (profumi, colori, suoni, tessiture, frutti dell’orto e delle piante), si possono avere effetti terapeutici sul malato, sul disabile, sull’anziano, sul bambino, come:

• sollievo e distrazione dai sintomi

• controllo sulla malattia e motivazione a vivere

• maggiore autonomia

• ritrovamento di uno spazio di privacy

• riduzione  dello stress

• miglioramento qualità della vita

• miglioramento psico-fisico

Che tipo di interazione avviene tra la persona e la natura?

E’ possibile che la natura il paesaggio, vengano fruiti in modo attivo o passivo a seconda che all’interno dei giardini ci siano attività con la natura, nella natura ( orticoltura, giardinaggio, ortoterpia, ecc.), o che la fruizione preveda una interazione più contemplativa.

In quali ambienti sanitari possono essere costruiti?

Gli healing gardens possono dare supporto alle cure tradizionali se realizzati al’interno di strutture di cura quali ospedali, centri sanitari. In particolar modo in luoghi dove avvengono lunghe o medio degenze o strutture residenziali quali hospice,  centri Alzheimer, centri diurni, case di cura.

Perché dovrebbero essere costruiti?

Un ambiente  sanitario confortevole,  uno spazio verde progettato per essere di sostegno al fruitore,  dove lavorano medici ed infermieri attenti alle esigenze del malato, dell’anziano, del disabile, contribuiscono in maniera significativa alla terapia, migliorano la qualità di gestione della struttura sanitaria e  riducono i costi di degenza.

Monica Botta

IL CIMITERO NEL BOSCO, Skogskyrkogården – Stockolm

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Nove del mattino ed aria frizzante, pulita della Svezia. Manciate di nuvole a rincorrersi in un cielo azzurro, conducono verso le porte spalancate. Appena varcata la soglia, la sensazione di essere in un luogo particolare. Ma  ancora non  è dato di sapere quanto si nasconde al di là dell’altura, al di là dei primi alberi.

La foto, la prima, è quella di una collina all’orizzonte, sulla quale si erge una grande croce in granito.

Nel 1915 venne bandito un concorso internazionale per la realizzazione di un nuovo cimitero per la zona sud di Stoccolma. E’ questa la prima e indimenticabile meta di qualche giorno in Svezia.

Oltre la soglia, su di un pannello, il simbolo dell’ Unesco su di un totem, spiega come mai Skogskyrkogården è stato riconosciuto Patrimonio dell’Umanità nel 1994.

Il cimitero creato tra il 1917 e il 1920 nelle ex cave di ghiaia ricoperte di alberi di pino, è stato progettato da due giovani architetti seguaci del Funzionalismo, Gunnar Asplund e Sigurd Lewerentz, vincitori del concorso internazionale.

Il progetto del parco fonde elementi di vegetazione con quelli architettonici, sfruttando le forme del terreno. E’ uno straordinario esempio di paesaggio culturale progettato che unisce forme e vegetazione a particolari architettonici, a creare un luogo che ha avuto una profonda influenza sul design di molti cimiteri nel mondo.

L’introduzione al cimitero data dal riconoscimento Unesco,  spinge il visitatore a risalire la collina lungo un viale pavimentato in pietre e fa volgere lo sguardo a destra, verso una distesa di prato verde che culmina alla sommità del Boschetto della Meditazione dal quale si diparte una strada che porta alla Cappella della Resurrezione.

Inerpicandosi ed arrivando al termine del viale, ci si trova nel l’imponente portico  del crematorio.  E poi scendendo ed inoltrandosi nel bosco, immersa tra la vegetazione, si trovano una piccola Cappella, col tetto in legno trattato con catrame, dove si susseguono i riti religiosi e, poco distante, un Centro Visitatori dalle linee architettoniche riconoscibili.

Ma non è delle architetture che si è colpiti, quanto dal richiamo di piccole pietre al di sotto di alti abeti, pini, betulle, salici. Dal silenzio rotto dai suoni della natura, del bosco.

Coglie alla sprovvista respirare qui, proprio in questo posto, un’atmosfera raccolta, romantica, meditativa in un paesaggio ampio, non delimitato che porta a spaziare con lo sguardo. Colgono alla sprovvista le mamme con le carrozzine che passeggiano, di primo mattino, tranquille nei viali del cimitero; runners  che in religioso silenzio percorrono a falcate le strade asfaltate. E se questo modo di vivere uno spazio che tutto è, fuorché un cimitero nello stretto e triste – forse occidentale - senso del termine, non ci si stupisce delle panchine sotto gli alberi. Tra le distese di pietre, in spazi tutti identici - a ricordarci che la morte è uguale per tutti - si sosta senza ansie. In commemorazione o in semplice contemplazione.

Il sole penetra tra le fronde di alcuni abeti e disegna sul prato verde, ombre e luci che rincuorano lo sguardo. Questo bosco dona una congiunzione spontanea tra i defunti e i loro cari. Una maestria progettuale  di cui si deve il merito alla natura, più che ai suoi bravi progettisti.

Ogni tanto si incontra qualcuno seduto sull’erba, intento a rivolgere un dialogo silenzioso con oggetti, fiori, piccoli ricordi.  Nessuna immagine sulle lapidi, solo lastre con inciso un nome, inserite nel prato.

Sostare, passeggiare, osservare, contemplare, meditare. Esercizi per il corpo e per la mente che fanno di questo luogo un pulsare sereno di vita. Quasi un ossimoro. Indubbiamente… un bosco d’anime.

 

| dedicato a Stefania e Laura, mie compagne di viaggio| foto di Monica Botta |