IL VECCHIO E IL MARE

Luigi aspettava tutte le mattine seduto sui divanetti dell’ingresso. Il cantiere del giardino iniziava alle 7.30 e nel freddo mese di febbraio, io facevo capolino in struttura prestissimo.

Era là ad attendermi all’interno dell’edificio; poi nei mesi successivi, con i primi caldi della primavera, si sistemava su di una panchina fuori – odiava stare dentro la struttura - a prendere i raggi di un tiepido sole. Assonnata gli raccontavo dei lavori che si stavano facendo per sistemare il giardino terapeutico della casa di cura dove lui ed altri anziani soggiornavano. Non era interessato al verde, alle piante – a me dei fiori non frega nulla, mi diceva - non mancava di ribadirlo tutte le volte. Per lui erano un di più, non necessario, non aveva tempo di stare a guardare i colori e le varie specie. A lui piaceva stare all’aperto a farsi abbrustolire.

Solitamente mi intrattenevo per spiegargli cosa stavano facendo i giardinieri, per renderlo partecipe di quanto durante i tre mesi di lavoro – nonostante il suo professato disinteresse – osservava attentamente.

Luigi era un uomo stravagante, un grande viaggiatore, appassionato di canzoni, di poesia e di astrologia. Nei nostri incontri mattutini, citava qualche poesia a memoria e ultimava con richieste singolari alle quali – non con poche difficoltà – non potevo sottrarmi. Il suo buongiorno, così unico, era surreale. Tutte le volte mi chiedeva di cantare con lui qualche canzone in francese, in inglese, in portoghese. Ne aveva tre o quattro tra le sue preferite. O forse conosceva solo quelle.

Ed è così che “la Vie en Rose” è diventata la colonna sonora di questo primo healing garden; cantata a due voci nell’atrio della struttura sanitaria e poi su di una panchina, vicino all’area cantiere.

Nonostante le sue ritrosie, con i suoi racconti sulle sue vacanze europee e non solo, trascorse al mare, immerso nella natura, Luigi è diventato il primo fruitore del giardino. Ma soprattutto è stato il collaudatore ufficiale di tutte le panchine poste lungo il percorso sensoriale. Lui non era interessato alla nuova introduzione di alberi di Liquidambar styraciflua – di cui gli avevo raccontato tingersi le foglie di porpora, rosso, arancio , giallo durante l’autunno -  e ai bellissimi Gingko biloba dalle foglie a cuore. Neanche il racconto del fatto che il Gingko è un fossile vivente ed e l’ unica specie sopravvissuta alla bomba di Hiroshima, l’avevano incuriosito. Non avevano avuto alcun effetto rilassante su di lui, la lavanda, il rosmarino, la salvia, l’origano e le altre erbe aromatiche, messe apposta nelle bordure lungo il percorso per stimolare i sensi tattili, visivi  ma soprattutto olfattivi. La fioritura copiosa di Azalee, Rododendri e delle Camelie Japoniche lo aveva lasciato del tutto indifferente (così diceva). Avrebbe potuto starsene anche su di una panchina fuori dal verde, tanto a lui non cambiava nulla. E infatti al completamento dei lavori, lui era sempre in giardino. A volte si sedeva sotto il gazebo dove avevamo realizzato un’area di sosta con tavoli e poltrone da esterni, ma solo perché probabilmente era accaldato dai troppi bagni di sole.

Gli antichi aratri, l’erpice, la dissodatrice, disposti lungo il percorso, non lo hanno mai colpito. Le diciture in dialetto e in italiano degli antichi attrezzi forse per lui, poliglotta avventuriero appassionato di mare, non sono mai state fonte di stimolo alla conversazione. Almeno non con me, almeno a suo dire.

Si sedeva semplicemente in giardino sulla panchina rivolta verso le Largerstroemie Indica e le nuvole di Eriche rosa, bianche. Si guardava in giro, spesso rivolgendo la faccia verso il sole o fissando un punto tra la vegetazione. Trovava ristoro contemplando quello che gli stava attorno assorto nei suoi pensieri, nella sua meditazione, in una totale privacy che si faceva fatica ad interrompere. E infatti non gli si avvicinava nessuno: pena qualche burbero rimprovero. Nel verde lui ci stava bene ma da solo.

Quando in estate ripasso dall’ healing garden e vedo le masse di rose rosa, rosse, bianche, ai limiti dell’area, il ricordo va diretto a quel primo scettico visitatore. A come non mi abbia mai fatto un complimento su com’era cambiato lo spazio dopo la sistemazione, a quelle dediche di bizzarre poesie e di previsioni astrali sempre uguali. Al fatto che sono dell’acquario ascendente pesci, e che secondo lui il mio era un bruttissimo segno. A come, alla domanda se era felice per quel giardino progettato anche per lui, non mi disse mai nulla, almeno “non lo disse ad alta voce perché ( forse) sapeva che a dirle, le cose belle non succedono”*.

 

|Storia letta a VOI SIETE QUI - Radio 24 |foto  di Monica Botta (non eccezionale ma ritrae Luigi)|

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